"Stabat Mater" di Rossini:
l'analisi critica di Attilio Piovano

photo Priamo Tolu

 

Dici Rossini e subito, per automatismo mentale, vien da pensare al folgorante itinerario teatrale, lavori composti in poco meno di trent’anni grazie a una frenetica, a tratti nevrotica attività. Si pensa a Rossini e subito la mente corre veloce ai suoi irresistibili ‘crescendo’ orchestrali, alla proverbiale joie de vivre che promana dalle sue spumeggianti partiture.

Meno immediato invece, l’accostamento della figura del Pesarese alla musica sacra, settore che annovera peraltro almeno un capolavoro assoluto, vale a dire la sublime Petite Messe solennelle del 1863. Al 1832 risale invece lo Stabat Mater, composto durante un soggiorno a Madrid. A richiedergli di porre in musica l’antico testo della sequenza duecentesca attribuito a Jacopone da Todi è un blasonato prelato spagnolo, Don Manuel Fernandez Varela. Provato e afflitto da una significativa forma di esaurimento, Rossini senza troppi scrupoli affidò all’amico e antico compagno di studi bolognesi Giovanni Tadolini il completamento del lavoro che, constando di soli sei numeri di mano del Pesarese e altrettanti approntati dal ‘collega’, venne eseguito il Venerdì Santo del 1833, in assenza dell’autore. Scomparso il prelato, nel 1841 Rossini compì una radicale revisione, riducendo a 10 le originarie 12 sezioni e scrivendo ex novo quattro brani in sostituzione dei preesistenti a firma del Tadolini: si tratta dei numeri 2, 3, 4 e 10. La prima esecuzione della definitiva versione ebbe luogo il 7 gennaio di quello stesso 1842, al Théâtre Italien di Parigi, subito suscitando entusiasmo, ma innescando altresì critiche più o meno aspre.

Nonostante sia stato composto in anni di crisi creativa, lo Stabat Mater è partitura dal solido impianto architettonico, a suo modo unitaria, pur nell’oggettiva discontinuità linguistica: strumentata con sagace mano coloristica per flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, timpani e archi, vede alternarsi coro e solisti in maniera ragionevolmente equilibrata.

 

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